La notizia era
nell'aria, e da tempo si rincorrevano le indiscrezioni: l'ultima,
pubblicata sul sito online di Science Magazine, sembrava
particolarmente informata, ed infatti è stata immediatamente ripresa
dai giornali italiani. Adesso però è ufficiale: è cominciata l'era
dell'astronomia delle onde gravitazionali!
Il 14 Settembre
1915 infatti le antenne interferometriche gravitazionali che
costituiscono l'osservatorio LIGO, di cui ho parlato nei post precedenti, hanno rilevato quello che si è
immediatamente dimostrato essere un segnale estremamente
interessante: si tratta infatti di una oscillazione di durata
estremamente breve (in tutto poco meno di 0.2 s), che cresce
rapidamente in frequenza ed ampiezza passando da circa 60 Hz fino a
circa 150 Hz in circa 0.1 s; successivamente, la frequenza continua
ad aumentare ma l'ampiezza decresce rapidamente e il segnale
scompare.
Il segnale è
pressocché identico in entrambi i rivelatori, e si sovrappone
perfettamente con un ritardo di circa 7 ms tra il rivelatore della
Louisiana (L1) e quello di Hanford (H1): questo ritardo è
compatibile con il massimo osservabile di circa 10 ms.
Il segnale, battezzato GW150914, ha
tutte le caratteristiche di quello prodotto dal collasso di due
oggetti estremamente massicci, che orbitano uno intorno all'altro
perdendo energia tramite l'emissione di onde gravitazionali,
avvicinandosi e aumentando la propria velocità fino al collasso
finale. In base alla velocità con cui varia la frequenza, è
possibile dare una stima della cosiddetta “massa di chirp” (la
parola chirp, “cinguettio”, indica un segnale in cui la frequenza
varia rapidamente), che è una funzione delle masse di entrambe gli
oggetti coinvolti nel collasso. In base ai dati osservati, pare
probabile che i due oggetti avessero una massa di chirp pari a circa
30 volte la massa del Sole, il che vuol dire che la somma delle masse
dei due oggetti deve risultare maggiore di circa 70 masse solari.
Assumendo una massa uguale, ed adoperando la sola meccanica classica
newtoniana, si trova che per raggiungere una frequenza di rivoluzione
pari a 75 Hz (pari a metà la frequenza delle onde
gravitazionali emesse nell'istante della coalescenza) i due corpi devono trovarsi ad una distanza di
appena 350 Km, raggiungendo una velocità di circa 83000 Km al
secondo, pari a circa il 27% della velocità della luce!
A questo punto è
possibile interrogarsi sulla natura dei due oggetti. Può trattarsi
di due stelle giganti? No, perché due stelle di tale massa sarebbero
entrate in contatto molto prima di raggiungere una frequenza di
rotazione di 150 Hz.
Può trattarsi di
una coppia di stelle di neutroni? No, perché la stella di neutroni
più massiccia mai osservata si aggira intorno alle 3 masse solari, e
per una massa maggiore di 10 masse solari la stella di neutroni
collassa in un buco nero.
Quindi nell'ipotesi
che le masse siano uguali, o comunque vicine, i due oggetti devono
necessariamente essere due buchi neri.
E se invece gli
oggetti avessero massa molto diversa? Qui bisogna entrare un po' in
dettaglio nei calcoli: si trova infatti che se l'oggetto leggero
fosse una stella di neutroni di una decina di km di raggio, allora la
sua massa dovrebbe essere di almeno una decina di masse solari,
altrimenti il collasso avverrebbe a frequenza più bassa.
Quindi perché due
corpi così massicci possano orbitare con una frequenza di rotazione
di 75 Hz senza entrare in contatto, l'unica possibilità è che si
tratti di due buchi neri. Osserviamo inoltre il raggio di
Schwarzschild di ognuno dei due oggetti si aggirerebbe intorno ai 100
Km: quindi poco prima del collasso gli orizzonti degli eventi dei due
buchi neri sarebbero distanti appena 150 Km. Ovviamente per
descrivere correttamente un sistema di questo tipo, è assolutamente
necessario l'uso della relatività generale.
Ma come si fa ad
essere certi che il segnale osservato sia un segnale vero, e non un
disturbo strumentale? Bisogna innanzitutto osservare che gli
interferometri che costituiscono l'osservatorio Ligo si trovano a
circa 3000 Km di distanza l'uno dall'altro: un disturbo esterno che
agisca su entrambi entro il tempo impiegato dalla luce a percorrere
la distanza che li separa (10 msec) è estremamente improbabile.
Inoltre entrambi gli strumenti sono monitorati da un insieme di
sensori che registrano i movimenti della crosta terrestre, i rumori,
i campi magnetici, le variazioni di temperatura, etc: nessuno di
questi sensori ha osservato nulla di anomalo in coincidenza con il
segnale osservato. Rimangono solamente le cosiddette coincidenze
casuali: ovvero le fluttuazioni statistiche del segnale prodotto
dallo strumento che casualmente vengono prodotte in entrambi gli
interferometri contemporaneamente.
Per stimare la
probabilità che ciò avvenga, si procede nel modo seguente: dapprima
si ricerca, all'interno del segnale prodotto dall'interferometro, un
segnale simile a quello prodotto in un collasso stellare,
confrontandolo con una banca di possibili segnali. Successivamente
si ricercano le coincidenze, ovverossia quei segmenti di dati in cui
i due rivelatori hanno dato un segnale simile entro un intervallo di
tempo inferiore ai 10 msec del ritardo stimato. In base alla
somiglianza col segnale atteso, ed alla somiglianza tra i segnali
osservati dai due interferometri, si costruisce una quantità
(detta “statistica di rivelazione”) che risulta tanto più grande
quanto maggiore è la somiglianza. Per stimare la probabilità di
osservare casualmente un alto valore della statistica di rivelazione,
si ripete la stessa operazione ritardando artificialmente il segnale
di uno dei due interferometri di un tempo arbitrario, ma comunque
superiore ai 10msec massimi attesi tra i due interferometri: in
questo modo si ottiene un insieme di coincidenze sicuramente casuali.
Infine si confrontano i due insiemi di coincidenze ottenute: in
questo modo, data una coincidenza reale, è possibile determinare la
probabilità che una coincidenza con le stesse caratteristiche
avvenga per caso. Nella figura viene mostrato il
risultato:
nel grafico a sinistra, viene mostrata la distribuzione della “statistica” per le coincidenze reali, ottenute confrontando i dati con un insieme di funzioni generiche che hanno solamente una somiglianza vaga con il segnale atteso, adoperando una (punti arancione) o due (punti azzurri) possibili classi di eventi, a seconda che la frequenza aumenti o rimanga costante durante l'evoluzione del segnale. Nel grafico a destra, invece, il segnale dei due interferometri è stato confrontato con una banca contenente circa 250000 possibili segnali prodotti dal collasso di due buchi neri, ottenuti tramite tecniche di simulazione numerica. Il grafico delle coincidenze casuali è doppio, in quanto nel produrlo si può decidere se tenere o scartare l'evento osservato: nel primo caso, il livello delle coincidenze casuali stimato potrebbe risultare maggiore di quello reale, mentre nel secondo caso potrebbe risultare minore. Col primo metodo si stima che la probabilità di ottenere una coincidenza casuale con caratteristiche simili all'evento osservato è dell'ordine di una volta su 22500 anni; rilassando però i criteri di coincidenza la probabilità sale ad una volta ogni 8400 anni.
nel grafico a sinistra, viene mostrata la distribuzione della “statistica” per le coincidenze reali, ottenute confrontando i dati con un insieme di funzioni generiche che hanno solamente una somiglianza vaga con il segnale atteso, adoperando una (punti arancione) o due (punti azzurri) possibili classi di eventi, a seconda che la frequenza aumenti o rimanga costante durante l'evoluzione del segnale. Nel grafico a destra, invece, il segnale dei due interferometri è stato confrontato con una banca contenente circa 250000 possibili segnali prodotti dal collasso di due buchi neri, ottenuti tramite tecniche di simulazione numerica. Il grafico delle coincidenze casuali è doppio, in quanto nel produrlo si può decidere se tenere o scartare l'evento osservato: nel primo caso, il livello delle coincidenze casuali stimato potrebbe risultare maggiore di quello reale, mentre nel secondo caso potrebbe risultare minore. Col primo metodo si stima che la probabilità di ottenere una coincidenza casuale con caratteristiche simili all'evento osservato è dell'ordine di una volta su 22500 anni; rilassando però i criteri di coincidenza la probabilità sale ad una volta ogni 8400 anni.
Assumendo che i
segnali provengano da un collasso stellare descritto dalla relatività
generale, la probabilità scende ad una volta ogni 203000 anni , con
una significatività pari a 5.1σ: ricordiamo che il limite di 5 σ è
il limite convenzionale necessario a definire una osservazione come
una scoperta.
Rimane da
determinare con esattezza cosa ha prodotto il segnale gravitazionale in base alle
caratteristiche dell'evento: pertanto i fisici hanno confrontato la
forma d'onda con quella prevista nel caso di un collasso tra due
buchi neri. Il confronto è avvenuto tenendo conto dell'esatto
orientamento dei rivelatori, dell'esatto ritardo tra i segnali, e
considerando anche la possibilità che entrambi i buchi neri
ruotassero prima della collisione. Il risultato è che, assumendo due
buchi neri di massa pari a circa 36 e 29 masse solari,
rispettivamente, l'accordo con il segnale osservato è spettacolare.
Con questo metodo, è
possibile anche determinare che, dopo il collasso, quello che rimane
è un buco nero rotante di massa pari a 62 masse solari: questo vuol
dire che una massa pari a circa 3 masse solari è stata trasformata
in onde gravitazionali. Si tratta di una quantità di energia
spaventosa, pari a circa 5 1047 Joule, pari a circa il fabbisogno
energetico terrestre attuale per 27000 anni. Questa energia risulta
ancora più spaventosa se si pensa che viene emessa nell'arco di
circa 0.2 secondi, ovvero con una potenza pari a circa 2.5 1048
Watt! Di questa energia la parte rilevata dall'esperimento è
estremamente piccola: infatti la deformazione del rivelatore è pari
al massimo a 10-21: ovvero, su una distanza di 4 Km, gli specchi si
avvicinano di solo 4 10-18 metri (per confronto, il raggio del
protone è di circa 10-15 metri, mille volte più piccolo). La
velocità massima, corrispondente ad una frequenza di 150 Hz, è
quindi di 4 10-15 m/s, e quindi gli specchi di 40 Kg acquistano una
energia al massimo di 3 10-28 joule!
Per quanto riguarda la posizione del cielo della sorgente del segnale osservato,
purtroppo con due soli rivelatori non è possibile dire molto:
infatti dal ritardo tra i rivelatori è solamente possibile dire che
la congiungente tra i due rivelatori forma con la direzione di arrivo
un angolo il cui coseno è circa uguale a 7/10 (il ritardo osservato
diviso per il massimo ritardo previsto): questo corrisponde ad un
cerchio sulla volta celeste di ampiezza pari a circa 45 gradi. Lungo
questo cerchio esistono delle zone più o meno probabili in base alla
forma e all'ampiezza del segnale osservato: utilizzando tutta
l'informazione disponibile è possibile limitare la zona al 90% di
livello di confidenza ad un'angolo solido di circa 600 gradi
quadrati. In figura viene mostrata la zona dell'emisfero sud in cui è
più probabile che si trovasse la sorgente. Si noti che quando VIRGO
sarà operativo sarà possibile, in caso di rivelazione congiunta,
ridurre la zona di provenienza per un evento di questo tipo ad una
regione di pochi gradi quadrati!
Confrontando
l'ampiezza attesa con quella osservata è infine possibile
determinare che la distanza è compresa tra 230 e 570 MegaParsec: si
ricordi che il Megaparsec è l'unità di misura caratteristica della
distanza tra galassie, per cui è estremamente difficile determinare
con precisione il punto di provenienza. Sono in corso dei confronti
con i dati provenienti da altri osservatori nella regione delle onde
radio o dei raggi gamma, per verificare l'esistenza di segnali in
coincidenza, ma finora i risultati non sono stati resi pubblici.
Un ultimo controllo
sui dati è stato effettuato per verificare la consistenza di quanto
osservato con la relatività generale: il risultato è che allo stato
attuale non esiste nessun indizio che la relatività possa non
funzionare per sistemi di questo tipo.
In conclusione con
un colpo solo:
1) sono state
rivelate per la prima volta le onde gravitazionali;
2) è stata
verificata l'esistenza di buchi neri di massa maggiore di 25 masse
solari;
3) è stata
dimostrata l'esistenza di sistemi binari formati da due buchi neri
massicci;
4) è stato
verificato che questi sistemi collassano entro un tempo inferiore
all'età dell'Universo;
5) è stato
verificato che la relatività generale è in grado di descrivere
l'evento con ottima accuratezza.
In conclusione, un bel modo di festeggiare i 100 anni della teoria!
Bell'articolo, chiarissimo.
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