giovedì 11 febbraio 2016

Inizia l'era dell'astronomia delle onde gravitazionali!

La notizia era nell'aria, e da tempo si rincorrevano le indiscrezioni: l'ultima, pubblicata sul sito online di Science Magazine, sembrava particolarmente informata, ed infatti è stata immediatamente ripresa dai giornali italiani. Adesso però è ufficiale: è cominciata l'era dell'astronomia delle onde gravitazionali!

Il 14 Settembre 1915 infatti le antenne interferometriche gravitazionali che costituiscono l'osservatorio LIGO, di cui ho parlato nei post precedenti, hanno rilevato quello che si è immediatamente dimostrato essere un segnale estremamente interessante: si tratta infatti di una oscillazione di durata estremamente breve (in tutto poco meno di 0.2 s), che cresce rapidamente in frequenza ed ampiezza passando da circa 60 Hz fino a circa 150 Hz in circa 0.1 s; successivamente, la frequenza continua ad aumentare ma l'ampiezza decresce rapidamente e il segnale scompare.
Il segnale è pressocché identico in entrambi i rivelatori, e si sovrappone perfettamente con un ritardo di circa 7 ms tra il rivelatore della Louisiana (L1) e quello di Hanford (H1): questo ritardo è compatibile con il massimo osservabile di circa 10 ms. 

Il segnale rivelato dagli interferometri di Hanford e Livingston. Nella figura in alto a sinistra i due segnali sono sovrapposti per confronto. Nella seconda riga viene mostrato il segnale ricostruito, mentre nella terza riga viene mostrato il rumore residuo. Infine nella quarta riga viene mostrato l'andamento della frequenza in funzione del tempo. Immagine tratta dall'articolo delle collaborazioni LIGO e VIRGO pubblicato su Physical Review Letters.


Il segnale, battezzato GW150914, ha tutte le caratteristiche di quello prodotto dal collasso di due oggetti estremamente massicci, che orbitano uno intorno all'altro perdendo energia tramite l'emissione di onde gravitazionali, avvicinandosi e aumentando la propria velocità fino al collasso finale. In base alla velocità con cui varia la frequenza, è possibile dare una stima della cosiddetta “massa di chirp” (la parola chirp, “cinguettio”, indica un segnale in cui la frequenza varia rapidamente), che è una funzione delle masse di entrambe gli oggetti coinvolti nel collasso. In base ai dati osservati, pare probabile che i due oggetti avessero una massa di chirp pari a circa 30 volte la massa del Sole, il che vuol dire che la somma delle masse dei due oggetti deve risultare maggiore di circa 70 masse solari. Assumendo una massa uguale, ed adoperando la sola meccanica classica newtoniana, si trova che per raggiungere una frequenza di rivoluzione pari a 75 Hz (pari a metà la frequenza delle onde gravitazionali emesse nell'istante della coalescenza) i due corpi devono trovarsi ad una distanza di appena 350 Km, raggiungendo una velocità di circa 83000 Km al secondo, pari a circa il 27% della velocità della luce! 

A questo punto è possibile interrogarsi sulla natura dei due oggetti. Può trattarsi di due stelle giganti? No, perché due stelle di tale massa sarebbero entrate in contatto molto prima di raggiungere una frequenza di rotazione di 150 Hz.
Può trattarsi di una coppia di stelle di neutroni? No, perché la stella di neutroni più massiccia mai osservata si aggira intorno alle 3 masse solari, e per una massa maggiore di 10 masse solari la stella di neutroni collassa in un buco nero.
Quindi nell'ipotesi che le masse siano uguali, o comunque vicine, i due oggetti devono necessariamente essere due buchi neri.
E se invece gli oggetti avessero massa molto diversa? Qui bisogna entrare un po' in dettaglio nei calcoli: si trova infatti che se l'oggetto leggero fosse una stella di neutroni di una decina di km di raggio, allora la sua massa dovrebbe essere di almeno una decina di masse solari, altrimenti il collasso avverrebbe a frequenza più bassa.
Quindi perché due corpi così massicci possano orbitare con una frequenza di rotazione di 75 Hz senza entrare in contatto, l'unica possibilità è che si tratti di due buchi neri. Osserviamo inoltre il raggio di Schwarzschild di ognuno dei due oggetti si aggirerebbe intorno ai 100 Km: quindi poco prima del collasso gli orizzonti degli eventi dei due buchi neri sarebbero distanti appena 150 Km. Ovviamente per descrivere correttamente un sistema di questo tipo, è assolutamente necessario l'uso della relatività generale.

Ma come si fa ad essere certi che il segnale osservato sia un segnale vero, e non un disturbo strumentale? Bisogna innanzitutto osservare che gli interferometri che costituiscono l'osservatorio Ligo si trovano a circa 3000 Km di distanza l'uno dall'altro: un disturbo esterno che agisca su entrambi entro il tempo impiegato dalla luce a percorrere la distanza che li separa (10 msec) è estremamente improbabile. Inoltre entrambi gli strumenti sono monitorati da un insieme di sensori che registrano i movimenti della crosta terrestre, i rumori, i campi magnetici, le variazioni di temperatura, etc: nessuno di questi sensori ha osservato nulla di anomalo in coincidenza con il segnale osservato. Rimangono solamente le cosiddette coincidenze casuali: ovvero le fluttuazioni statistiche del segnale prodotto dallo strumento che casualmente vengono prodotte in entrambi gli interferometri contemporaneamente.
Per stimare la probabilità che ciò avvenga, si procede nel modo seguente: dapprima si ricerca, all'interno del segnale prodotto dall'interferometro, un segnale simile a quello prodotto in un collasso stellare, confrontandolo con una banca di possibili segnali. Successivamente si ricercano le coincidenze, ovverossia quei segmenti di dati in cui i due rivelatori hanno dato un segnale simile entro un intervallo di tempo inferiore ai 10 msec del ritardo stimato. In base alla somiglianza col segnale atteso, ed alla somiglianza tra i segnali osservati dai due interferometri, si costruisce una quantità (detta “statistica di rivelazione”) che risulta tanto più grande quanto maggiore è la somiglianza. Per stimare la probabilità di osservare casualmente un alto valore della statistica di rivelazione, si ripete la stessa operazione ritardando artificialmente il segnale di uno dei due interferometri di un tempo arbitrario, ma comunque superiore ai 10msec massimi attesi tra i due interferometri: in questo modo si ottiene un insieme di coincidenze sicuramente casuali. Infine si confrontano i due insiemi di coincidenze ottenute: in questo modo, data una coincidenza reale, è possibile determinare la probabilità che una coincidenza con le stesse caratteristiche avvenga per caso. Nella figura viene mostrato il risultato:
La distribuzione della statistica di rivelazione per le coincidenze reali (quadratini colorati) confrontata con quella delle coincidenze casuali attesa. A sinistra sono adoperati modelli di segnale generici, a destra modelli di segnale provenienti dal collasso di sistemi binari. Immagine tratta dall'articolo delle collaborazioni LIGO e VIRGO pubblicato su Physical Review Letters.

nel grafico a sinistra, viene mostrata la distribuzione della “statistica” per le coincidenze reali, ottenute confrontando i dati con un insieme di funzioni generiche che hanno solamente una somiglianza vaga con il segnale atteso, adoperando una (punti arancione) o due (punti azzurri) possibili classi di eventi, a seconda che la frequenza aumenti o rimanga costante durante l'evoluzione del segnale. Nel grafico a destra, invece, il segnale dei due interferometri è stato confrontato con una banca contenente circa 250000 possibili segnali prodotti dal collasso di due buchi neri, ottenuti tramite tecniche di simulazione numerica. Il grafico delle coincidenze casuali è doppio, in quanto nel produrlo si può decidere se tenere o scartare l'evento osservato: nel primo caso, il livello delle coincidenze casuali stimato potrebbe risultare maggiore di quello reale, mentre nel secondo caso potrebbe risultare minore. Col primo metodo si stima che la probabilità di ottenere una coincidenza casuale con caratteristiche simili all'evento osservato è dell'ordine di una volta su 22500 anni; rilassando però i criteri di coincidenza la probabilità sale ad una volta ogni 8400 anni.
Assumendo che i segnali provengano da un collasso stellare descritto dalla relatività generale, la probabilità scende ad una volta ogni 203000 anni , con una significatività pari a 5.1σ: ricordiamo che il limite di 5 σ è il limite convenzionale necessario a definire una osservazione come una scoperta.

Rimane da determinare con esattezza cosa ha prodotto il segnale gravitazionale in base alle caratteristiche dell'evento: pertanto i fisici hanno confrontato la forma d'onda con quella prevista nel caso di un collasso tra due buchi neri. Il confronto è avvenuto tenendo conto dell'esatto orientamento dei rivelatori, dell'esatto ritardo tra i segnali, e considerando anche la possibilità che entrambi i buchi neri ruotassero prima della collisione. Il risultato è che, assumendo due buchi neri di massa pari a circa 36 e 29 masse solari, rispettivamente, l'accordo con il segnale osservato è spettacolare.
Con questo metodo, è possibile anche determinare che, dopo il collasso, quello che rimane è un buco nero rotante di massa pari a 62 masse solari: questo vuol dire che una massa pari a circa 3 masse solari è stata trasformata in onde gravitazionali. Si tratta di una quantità di energia spaventosa, pari a circa 5 1047 Joule, pari a circa il fabbisogno energetico terrestre attuale per 27000 anni. Questa energia risulta ancora più spaventosa se si pensa che viene emessa nell'arco di circa 0.2 secondi, ovvero con una potenza pari a circa 2.5 1048 Watt! Di questa energia la parte rilevata dall'esperimento è estremamente piccola: infatti la deformazione del rivelatore è pari al massimo a 10-21: ovvero, su una distanza di 4 Km, gli specchi si avvicinano di solo 4 10-18 metri (per confronto, il raggio del protone è di circa 10-15 metri, mille volte più piccolo). La velocità massima, corrispondente ad una frequenza di 150 Hz, è quindi di 4 10-15 m/s, e quindi gli specchi di 40 Kg acquistano una energia al massimo di 3 10-28 joule!

Per quanto riguarda la posizione del cielo della sorgente del segnale osservato, purtroppo con due soli rivelatori non è possibile dire molto: infatti dal ritardo tra i rivelatori è solamente possibile dire che la congiungente tra i due rivelatori forma con la direzione di arrivo un angolo il cui coseno è circa uguale a 7/10 (il ritardo osservato diviso per il massimo ritardo previsto): questo corrisponde ad un cerchio sulla volta celeste di ampiezza pari a circa 45 gradi. Lungo questo cerchio esistono delle zone più o meno probabili in base alla forma e all'ampiezza del segnale osservato: utilizzando tutta l'informazione disponibile è possibile limitare la zona al 90% di livello di confidenza ad un'angolo solido di circa 600 gradi quadrati. In figura viene mostrata la zona dell'emisfero sud in cui è più probabile che si trovasse la sorgente. Si noti che quando VIRGO sarà operativo sarà possibile, in caso di rivelazione congiunta, ridurre la zona di provenienza per un evento di questo tipo ad una regione di pochi gradi quadrati!

In questa figura che rappresenta il cielo visto dall'emisfero meridionale è mostrata la sorgente delle onde gravitazionali rivelate dagli interferometri gemelli L1 ed H1. La linea viola indica il 90% di livello di confidenza della localizzazione della sorgente; il giallo il 10% di livello di confidenza. I ricercatori hanno localizzato la sorgeente adoperando i dati provenienti da entrambi i rivelatori. Le onde gravitazionali sono giunte ai rispettivi rivelatori e distanza di 7 millisecondi. Questo ritardo ha permesso di individuare una particolare regione dello spazio a forma di anello da dove il segnale deve essere arrivato. Credits: LIGO collaboration
Confrontando l'ampiezza attesa con quella osservata è infine possibile determinare che la distanza è compresa tra 230 e 570 MegaParsec: si ricordi che il Megaparsec è l'unità di misura caratteristica della distanza tra galassie, per cui è estremamente difficile determinare con precisione il punto di provenienza. Sono in corso dei confronti con i dati provenienti da altri osservatori nella regione delle onde radio o dei raggi gamma, per verificare l'esistenza di segnali in coincidenza, ma finora i risultati non sono stati resi pubblici.
Un ultimo controllo sui dati è stato effettuato per verificare la consistenza di quanto osservato con la relatività generale: il risultato è che allo stato attuale non esiste nessun indizio che la relatività possa non funzionare per sistemi di questo tipo.

In conclusione con un colpo solo:
1) sono state rivelate per la prima volta le onde gravitazionali;
2) è stata verificata l'esistenza di buchi neri di massa maggiore di 25 masse solari;
3) è stata dimostrata l'esistenza di sistemi binari formati da due buchi neri massicci;
4) è stato verificato che questi sistemi collassano entro un tempo inferiore all'età dell'Universo;
5) è stato verificato che la relatività generale è in grado di descrivere l'evento con ottima accuratezza.

In conclusione, un bel modo di festeggiare i 100 anni della teoria!


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